Storie di Pistoia - Villa la Farnia e la famiglia Dondori
Silvia Lelli, titolare de Il Fienile della Farnia, per presentare la sua struttura ricettiva nella home page del sito ufficiale, ha scelto le parole che la storica Nori Andreini Galli utilizzò nel suo volume “Le Ville Pistoiesi”, pubblicato nel 1989, per descrivere Villa La Farnia.
Per chi conosce bene le campagne di Pistoia, la tenuta si trova nei pressi di San Giorgio all'Ombrone, alla confluenza fra i torrenti Tazzera e Torbecchia. Una tenuta trecentesca, costruita dalla famiglia Dondori, che prende il nome dalla secolare quercus farnea in fondo al podere: il maestoso albero, purtroppo, non è riuscito a resistere alla violenza del vento che nella notte tra il 5 e il 6 marzo 2015 colpì e piegò tantissimi altri alberi, dall'alta Toscana alle zone interne.
Con questo articolo, quindi, vogliamo rendere omaggio a un luogo molto suggestivo e alla quercia che ne costituiva l’anima e l’essenza, convinti che gli attuali proprietari abbiano anch’essi radici ben piantate in un solido progetto di accoglienza e di valorizzazione dell’ambiente naturale che circonda la Farnia.
“Di rosso, alla banda d'oro, caricata di tre campane al naturale, poste nel senso della pezza”: è la rappresentazione dello stemma di famiglia, così come descritto dall’Archivio di Stato di Firenze.
E così come lo ritroviamo nel salone principale, accanto allo stemma della famiglia Cellesi, alla quale la villa passò per via femminile.
Il motto dei Dondori, reca queste parole in latino: “Sic perpetuor de celo sonus”, traducibili in “Così io, come suono che scende incessante dal cielo”.
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Natale Rauty |
Una traduzione che troverebbe conforto nelle parole della nonna di Silvia Lelli, Rita Feri, discendente per parte di madre dei Dondori e moglie dello storico e ingegnere pistoiese Natale Rauty, noto per la sua lunga e importante attività di ricerca e divulgazione storica su Pistoia e il suo territorio: Silvia ricorda che la nonna era solita raccontare che sullo stemma della casata c'erano le campane perché il ‘don don’ delle stesse ricordava il suono del nome, in questo caso onomatopeico, della famiglia. I ricordi di Silvia sono anche i ricordi della madre, Benedetta Rauty, figlia di Natale.
Grazie ai documenti forniti da lei, abbiamo cercato di riassumere la storia della casata e della Farnia.
I Dondori erano una famiglia di banchieri e cambiatori, che possedevano il grande palazzo di fronte alla chiesa di Sant’Andrea, che poi passerà ai Fabroni. Come si legge sulla pagina ufficiale dei Musei Civici Pistoiesi, "il nucleo più antico, chiamato ‘palagio’, appartenne prima allo Spedale del Ceppo e poi alla nobile famiglia pistoiese dei Dondori, che lo acquistarono intorno alla metà del Trecento, ed era costituito da una tipica casa-torre, il cui orto confinava sul retro con le mura urbane della seconda cerchia. Fra il 1608 e il 1620 i Fabroni, già proprietari di altre casa nella zona, acquistarono dai Dondori, in gravi difficoltà economiche, tutta la loro casa di Sant’Andrea".
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Palazzo Fabroni |
Nel corso del Seicento i nuclei diversi, Fabroni e già Dondori, rimasero separati, abitati da rami diversi della famiglia. Solo alla metà del secolo successivo, tra il 1748 e il 1769, per volere di Atto Fabroni, il palazzo fu oggetto di una ristrutturazione complessiva che collegò le antiche case Dondori e Fabroni e che gli conferì l’aspetto attuale, con la nuova facciata, elegante e scenografica, caratteristica per il suo andamento curvilineo. Oggi il palazzo è sede del Museo del Novecento e del Contemporaneo.
Tornando alla Farnia, “la sua posizione”, commenta Andreini Galli, “è singolarissima, ricompresa com'è entro i limiti segnati dall'antica Via di Gora e Barbatole e dal corso di due torrenti, la Tazzera e la Torbecchia, i quali, prima di confluire nell'Ombrone si ricongiungono disegnando una sorta di triangolo irregolare. Si tratta di terreni dell'estensione di otto ettari circa, a carattere alluvionale estremamente fertile".
La descrizione continua con altri particolari interessanti: “Derivata dalla Torbecchia, una gora profonda e morbida[…]alimentava in giardino un laghetto con isolotto e ponticello: agli orli, sfrangiati dai rescioni le ceppaie dei salici, vicino alla casa colonica, un antico lavatoio. La villa sorge al centro del podere, rispetto al resto del mondo appartata, con un connotato squisitamente intimo e domestico a distanza di secoli”.
Il 1348, l'anno a cui risale il primo nucleo della villa, fu l’anno della grande peste: la data è testimoniata da una lapide in facciata, posta sotto lo stemma che celebra i Dondori.
A Francesco Dondori, nel corso del Cinquecento, si deve un ampliamento dell'edificio sui lati di levante e di ponente, che trasformò l’aspetto originario di “casa da cittadino”; nel 1637 il nipote Felice Dondori rialzò l'edificio, originariamente di due piani, ed aggiunse sul lato nord una casa colonica, oltre ad un portico con accesso alla cappella sul lato est, sormontato da un loggiato a tre archi. Al confine del giardino fu anche realizzata una grande tinaia.
“I Dondori erano gente accorta e pia”, sottolinea Andreini Galli.
“Infatti negli angoli della nuova costruzione avevano fatto murare quattro scatolini contenenti alcune benedittioni contro le tempeste ordinate da nostro Signore Papa Urbano VIII, cioè dell'Agnus Dei, palma di San Pietro Martire, del cero Pasquale, del Lumen Christi, ulivo benedetto, incenzo benedetto e della candella benedetta, con queste parole in cartapecora: 'Jesus Marie Filius Salus Mundi a fulgure et tempestate defendat habitationem istam' Foelix Dondorus 1637 C.P. Ossia: “Che Gesù, Figlio di Maria, Salvezza del Mondo, difenda questa abitazione dai fulmini e dalle tempeste”.
Una gigantesca sequoia, mozzata sulla cima proprio da un fulmine, vive ancora oggi nella tenuta e anche la villa si è sempre mantenuta, nella sua semplicità e nel suo essere immersa nella vita rustica della campagna pistoiese. Quella che Silvia Lelli porta avanti nella casa colonica annessa alla villa, nella quale ha creato degli appartamenti per vacanze.
Della famiglia fece parte il frate cappuccino e predicatore Guglielmo Dondori, autore di un libro intitolato “Della Pietà di Pistoia in grazia della sua Patria”, nel quale vengono esaminati tutti i luoghi sacri del territorio pistoiese (chiese, monasteri, oratori e istituzioni, laiche ed ecclesiastiche, come ospedali e congreghe).
Nell’opera, data alle stampe nel 1666 per volontà di Giulio Rospigliosi, per i due anni successivi sul soglio pontificio come Papa Clemente IX, sono anche stilate le biografie dei pistoiesi illustri per devozione, in particolare santi e beati a partire da san Romolo, discepolo di Pietro, vescovo di Fiesole ed evangelizzatore di Pistoia.
Da ricordare anche che un ramo della famiglia pistoiese venne ammesso alla cittadinanza fiorentina nel 1610 con Giannozzo Dondori.
Nel 1686 un’autorità conosciuta con il nome di Magistrato dé fiumi e strade notificò a Giofulvio Dondori un precetto secondo il quale “in alcun modo ardisse prendere né far prendere l'acqua della Torbecchia quale sin hora si è sempre servito per il podere ed orto della villa di San Giorgio; e che in termine di giorni otto dovesse haver levato calle ed altri impedimenti, che potessero impedire il corso di detta acqua sotto pene ecc ecc”: ciò sta a dimostrare che i Dondori avevano accortamente approfittato della straordinaria posizione geografica della villa.
Un nuovo ampliamento della villa ad opera dei Cellesi, nel 1797, comportò la costruzione sul lato di ponente di un corpo di fabbrica destinato ad accogliere un nuovo salotto da mangiare ed ampie dispense. Al 1700 risale anche il giardino all'inglese antistante la villa con alberi d'alto fusto: tigli, magnolie, gelsomini, lagerstroemie (una pianta allora piuttosto rara) ed un glicine condotto fino alla loggia, eccezionale per dimensioni e longevità. Accanto al laghetto e lungo il muro di cinta Andreini Galli segnala anche “delle splendide canne di bambù, impiantate per l'evidente valore decorativo, la leggerezza, l'agilità delle foglie ma anche per i molteplici impieghi ai quali si prestava la loro fibra elastica e resistente”.
I Cellesi si estinsero nel 1860 lasciando la Farnia in eredità a Cesare Marchetti, trisavolo degli attuali proprietari. Una caratteristica più unica che rara della villa, è che essa, dal 1348 fino ad oggi, non è mai stata venduta e la proprietà si è sempre trasmessa per successione.
In tempi più recenti la storia della villa si è intrecciata con le vicende della Seconda Guerra Mondiale: infatti, dal giugno all'agosto del 1944, la Farnia fu requisita dalla Wermacht, le forze armate tedesche del Terzo Reich. La stessa Rita Feri, come racconta Silvia, si ricordava molto bene di aver visto i soldati tedeschi accampati nel giardino della Farnia. Per alcuni giorni vi alloggiò il comandante in capo delle truppe tedesche in Italia, il feldmaresciallo Kesselring. Fu da lui che partì l’ordine a Herbert Kappler di fucilare 10 italiani per ogni tedesco ucciso in via Rasella, operazione che portò all’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Altre notizie storiografiche sulla famiglia Dondori possono essere ricavate dal volume “Vita domestica di una famiglia pistoiese. Casa Dondori (1653-1678)”, pubblicato nel 1989 da Maria Vittoria Sguazzoni Feri per il "Bullettino Storico Pistoiese" e dall’Archivio Feri-Marchetti, conservato nel Palazzo Marchetti, in via Curtatone e Montanara a Pistoia, già sede dell'anagrafe fino agli anni ‘80.
L’archivio, composto da circa 370 unità, comprende infatti carte relative a varie casate: oltre ai Dondori, anche i Cellesi, gli Arrighi, i Biagi, i Sassi della Tosa di Firenze, i Vassellini.
Dal Fondo Dondori attinse Natale Rauty nel 1989 per scrivere un libretto intitolato “Ricordi della casa Dondori dall'anno 1581 al 20 aprile 1796”.
Si ringraziano Benedetta Rauty e Silvia Lelli per i documenti forniti
Articolo originariamente pubblicato sulla testata PistoiaSette
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