Foto di Barbara Rigon |
Venerdì 8 marzo 2019
Caffè del Verone
Museo degli Innocenti
Piazza della Santissima Annunziata n. 13 Firenze - Tel. 392/4982559 Email: caffedelverone@gmail.com
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Aperitivo ore 19.00, concerto ore 20.30
"As Madalenas" è la storia dell'amicizia e dell'incontro artistico tra due donne che cantano, suonano e compongono pezzi: due donne indipendenti che salgono sul palco e fanno quello che amano di più, ossia celebrare la musica popolare brasiliana.
Parliamo di Tatiana Valle, cantante, strumentista e cantautrice nata a Londrina, città dello stato brasiliano del Paranà e in Italia dal 2007 e di Cristina Renzetti, cantante e chitarrista nata a Terni da famiglia abruzzese, formatasi come artista a Rio de Janeiro negli anni 2000.
Entrambe sono attive sulla ricchissima scena musicale bolognese, che proprio negli ultimi anni sta dedicando molto spazio al jazz, al samba e allo choro.
Ho avuto il piacere di parlare con loro in occasione del concerto e propongo di seguito le nostre conversazioni
TATIANA
Il tuo percorso artistico si svolge a metà tra il Brasile e l'Italia. Come hai iniziato e come è avvenuto l'incontro con Cristina?
Ho iniziato a studiare la chitarra classica a nove anni, è
stato il primo amore della mia vita. A forza di suonare,
mi accompagnavo canticchiando. Così, l'interesse per il canto è venuto fuori quando ero già adolescente. Capii che avevo voglia di conoscere meglio questo mondo e allora ho
preso parte a lezioni e partecipato a festival e seminari. Da lì è partita la passione per la musica brasiliana: abbiamo una cultura
popolare molto bella, ricca e appassionante, che è inevitabile assorbire, perché gira proprio intorno a tutta la nostra vita.
A vent'anni ho mollato l’università, ho fatto una pausa di
quasi un anno: ero in piena crisi, dopo il primo anno la voglia di
suonare stava prendendo il sopravvento. Mi sono messa a studiare tanti strumenti, dall'organo al violencello. Ma erano la chitarra e il canto ciò che mi pulsava dentro sul serio.
Da lì è iniziata la mia gavetta, al contrario di ciò che succede
in Italia, dove prima si fa formazione accademica e poi si fanno le serate nei locali. Ho
suonato cinque anni in Brasile e altri cinque anni in Italia. Qui ho iniziato a collaborare con i primi musicisti della scena “Brasil jazz”, come Nicola di Camillo, Bruno Marcozzi, Angelo Trabucco, Eddy Palermo. Il mio
linguaggio si è arricchito di collaborazione in collaborazione. Nel 2013 ho preso i miei spazi, ho voluto fare la mia musica con il mio
gruppo e così è nato un quartetto, con cui suonavo i
miei pezzi.
Foto di Andrea Ammazzalorso |
Con Cristina è nato tutto da un incontro in spiaggia a Pescara: io, lei e le nostre chitarre.
E' stato il periodo in cui ho
iniziato a dare un focus ai miei progetti, un periodo che mi ha portato
tanto bene, a livello artistico e anche umano perché con il progetto delle Madalenas è nata anche un’amicizia. Essere già al secondo album è una cosa che dà molta soddisfazione perché non sempre è facile arrivare a un secondo album,
soprattutto per noi che siamo due donne, due soliste.
In entrambi i vostri lavori c'è l'impronta di Gabriele Mirabassi, clarinettista di fama internazionale e grande amante della musica brasiliana
Gabriele Mirabassi è un'entità della musica, non solo in
Italia ma anche in Sud America. C’è grande rispetto e ammirazione e con lui condividiamo con lui l’amore
per la mpb. Abbiamo avuto l’onore di averlo con noi nel primo disco, ma la cosa
speciale è che per il secondo disco ha scritto la partitura per clarinetto, flauto e chitarra sette corde del brano Bicho de Sete Cabeças, in cui noi cantiano accompagnate dalla chitarra sette corde di Marco Ruviaro e dal flauto traverso di Barbara
Piperno.
E con Guinga, grande compositore e chitarrista brasiliano, so che c'è un legame speciale...
E' un pò il nostro "padrino", si è preso cura di noi e ci ha seguite. Io l'ho conosciuto a un concerto a Roma, poi in un pezzo del nostro disco (che era la sua
Chá de panela ), gli abbiamo dedicato una 'embolada', una sorta di rap nordestino e lo
abbiamo omaggiato come “nostro maestro”. Lui ci ha scritto, dicendosi entusiasta ed emozionato del disco e ci ha proposto di ascoltare il suo ultimo lavoro, un disco di inediti registrato in Germania e che non era ancora uscito.
Non solo, ci ha detto che potevamo prendere dal suo disco un brano per il nostro prossimo lavoro, di cui stavamo defindendo il repertorio.
Tramite un'amica che abbiamo in comune con Guinga, la pianista Stefania Tallini, lo abbiamo chiamato per sapere se era disponibile a registrare e lui, con grande generosità, ha accettato ed è andato in studio a Rio.
E così è nato Meu pai, un pezzo che Guinga ha scritto per suo padre e di cui ci siamo innamorate.
Tutto è accaduto in maniera naturale: è stato un regalo meraviglioso, ancora oggi non ci sembra vero che sia successo. Guinga è un artista meraviglioso, un compositore importantissimo per la musica contemporanea. Ed è una persona generosa, che sa dare
valore anche a persone come me e Cristina che siamo delle artiste indipendenti
e che nel nostro piccolo cerchiamo di fare le cose con molta cura e rispetto
della musica.
E poi abbiamo il nostro terzo "madaleno", che è Giancarlo Bianchetti: un chitarrista meraviglioso, che dà vita alla struttura dei nostri dischi. Difficile immaginare senza di lui sia il
primo che il secondo disco.
La vostra musica è tutta un'ode alla donna. Quali messaggi lanciate nei vostri pezzi?
C'è un pezzo a cui teniamo particolarmente, che è Millacrima, adattato da noi a partire da un testo di Itamar Assumpçao: sprona ogni donna a voltare pagina, ad andare oltre, a rimettersi in
gioco e a riprendere la vita in mano. Poi abbiamo inserito il bellissimo testo di Chico Buarque Sem fantasia, che è un pezzo difficile, con due melodie
complesse che poi messe insieme formano una tensione meravigliosa che ha a
che fare con il testo, un dialogo tra uomo e donna molto forte.
Infine ci sono anche brani più leggeri come Papo de mulher, dove attraverso l'ironia si parla del perdono in amore.
In quanto musiciste donne, come vi rapportate all'ambiente musicale del jazz, che è dominato principalmente da musicisti ?
Per quanto riguarda il nostro progetto non abbiamo avuto
momenti in cui ci sentivamo in difficoltà, né sottovalutate. I musicisti si
sono innamorati del progetto, ad esempio Valentino Corvino che ha arrangiato O leaozinho. Tutti hanno sempre visto tanta forza e musicalità nel nostro duo. Avere un riconoscimento
dall’ambiente musicale del jazz, che è fatto più da uomini, per noi è molto
importante. Negli ultimi 20 anni sono emerse donne strumentiste bravissime,
cosa che prima era molto rara.
Noi saliamo sul palco e facciamo tutto, suoniamo e ci
scambiamo più strumenti: questo aspetto, dal puntodi vista chi ci invitava, è sempre
stato motivo di fascino, di indipendenza.
Infatti esiste il luogo comune che nella musica moderna la donna deve essere per forza una cantante, a differenza della musica classica, dove invece è più comune la donna strumentista.
Il nostro essere donne che suonano, che cantano e che scrivono ha dato un'impronta speciale e ha creato un progetto maturo, con un messaggio e con una verità, che arriva alle persone.
CRISTINA
Il Brasile fa parte della tua vita artistica ma anche del tuo vissuto personale. Come hai conosciuto la musica brasiliana?
Mi innamoro del Brasile negli anni '90: girando per il Buskers Festival di Ferrara ho ascoltato un gruppo di musicisti di strada che proponevano classici della bossa nova, rivisitandoli.
Comprai la cassetta e cominciai ad ascoltarla con molto interesse. Poi, a Parigi ho incontrato un ragazzo brasiliano e me ne sono
innamorata: a 18 anni sono andata in Brasile a suonare nel mondo dell’indie
rock. Dopo un mese di viaggio e una valigia pieni di cd, ho iniziato ad ascoltare musica brasiliana e a studiare
il portoghese. Ho fatto anche l’Erasmus in Portogallo.
Ho cominciato molto presto a stare sul palco: nell’ottima scena musicale a Bologna bolognese c’erano musicisti come Zé
Eduardo Martins, Rogerio Tavares e
Nelson Machado, da cui ho imparato molto e direttamente.
Dopo la laurea sono andata a Rio per fare un tirocinio
all’Istituto di Cultura e sono rimasta cinque anni, dal 2006 al 2011: ho avuto modo di vivere
totalmente la scena carioca contemporanea, popolata dai più grandi musicisti che oggi
di esibiscono sui palcoscenici di tutto il mondo. Uno tra tutti, il grande chitarrista Yamandù Costa.
Mi sono immersa nella Rio della Lapa, dei locali e della movida, anche se ancora era in fase nascente. C'era il Bar Semente, un luogo di ritrovo importantissimo e non si viveva quella dimensione 'carnevalesca' in cui la Lapa si è
trasformata .
Nel 2011, tornata in Italia, ho cominciato a
mettere a frutto tutto quello che avevo vissuto e ascoltato con due gruppi: quello
con Tatiana, in cui ci divertiamo a rielaborare il repertorio di Mpb e poi con
il Trio Correnteza, insieme a Gabriele Mirabassi e Roberto Taufic.Considero Gabriele il mio fratello maggiore in ambito musicale, è una figura che mi ha molto fatto crescere e che mi ha accolto nel suo mondo.
Sono due gruppi molto diversi tra loro, ma il fatto che entrambi siano al secondo disco è per me motivo di grande felicità.
Qual è la scelta alla base del nome del gruppo e cosa vi lega come amiche e musiciste?
In realtà non è stato troppo ragionato questo nome: dopo esserci conosciute a un matrimonio, ci siamo incontrate a Pescara per un caffè e e dal bar siamo scese in
spiaggia a suonare con chitarra e pandeiro.
Siamo due cantanti ma ci sentiamo molto musiciste, siamo
vissute con la chitarra entrambe. Potevamo divertire e ‘fazer um som’ con semplicità
e pienezza. Quello stesso giorno abbiamo pensato di proporci come duo e abbiamo
tirato fuori qualche nome femminile. Quando è venuto fuori As Madalenas ci siamo guardate e abbiamo capito che era il nome giusto.
Nella cultura popolare del samba
ci sono molti riferimenti ai nomi femminili: mentre Amelia è la donna remissiva, che sopporta l’uomo che torna a casa tardi, Madalena è la donna indipendente, che va a sambare, che si
trucca. Noi ci riconosciamo molto per questo lato - non dico irriverente - ma un pò indipendente: alla fine siamo due donne che prendono i
loro strumenti e salgono sul palco anche
esponendosi e facendo quello che amano più fare.
Noi, scherzando,
diciamo che abbiamo lanciato la moda del duo al femminile, ultimamente in Italia ne sto vedendo
parecchi. Mi piace lasciar
chiaro che non c’è stata una volontà aprioristica di fare un gruppo di sole
donne: è stato un desiderio spontaneo, però poi quando ti trovi lì c’è qualcosa
di speciale, c’è un’energia femminile che è lì
e che è inutile negare che non sia così. Ed è importante valorizzarla.
Infine in ogni disco facciamo un pezzo dedicato a qualcosa di
'maddalenico': nel primo disco abbiamo fatto Madeleine, un pezzo di Paolo Conte,
nel secondo invece Everything’s alright, che è un brano di Jesus Christ
Superstar, cantato da Maria Maddalena.
Bologna sta diventanto un punto di riferimento nazionale per lo choro, anche grazie a due musicisti che suonano nel vostro disco, la flautista Barbara Piperno e il chitarrista Marco Ruviaro
Barbara e Marco sono due amici, oltre che colleghi. Da bolognese
adottiva, credo che Bologna, musicalmente parlando, abbia guadagnato tantissimo con il loro arrivo in
città.
Barbara la conosco da tanti anni, da prima che lei conoscesse Marco, quando
lei suonava quasi solo musica classica e si era appena innamorata della musica
brasiliana. In questi anni ha fatto una crescita stratosferica ed è diventata una musicista meravigliosa.
Marco è un pozzo di sapienza choristica. Insieme
hanno questa grande capacità di convogliare persone e energie con queste rodas che sono iniziate con pochi adepti e ora stanno diventando molto frequentate e
affollate.