Storie di Pistoia - "I Taufi", una famiglia di agricoltori a 1300 metri di altezza
Oggi, 17 gennaio, si festeggia Sant'Antonio Abate, considerato il protettore degli animali domestici e patrono dei contadini e degli allevatori. Per onorare questa tradizione popolare, propongo la mia intervista a Daniela Pagliai, imprenditrice agricola di Cutigliano e titolare dell’azienda di famiglia insieme al marito e alle figlie.
Dalle sue parole emerge l'immenso amore per gli animali, in particolare le vacche, considerate membri della famiglia e protagoniste della transumanza sulla Montagna Pistoiese
PISTOIA, 29 marzo 2020
L’Italia di oggi, in lotta contro il nemico invisibile che
ha cambiato le nostre vite e le nostre abitudini, è fatta anche di imprenditori
che in un momento di straordinaria crisi per il Paese, hanno messo la loro esperienza
al servizio di tutti noi, per far arrivare sulle nostre tavole i prodotti che
garantiscono il nostro sostentamento durante questa lunga quarantena.
Sono gli
uomini e le donne che tengono in piedi la filiera agroalimentare, autentica
eccellenza e pilastro del nostro sistema economico. Abbiamo ascoltato la voce di Daniela Pagliai, titolare insieme
al marito Valter Nesti dell’Azienda BioAgrituristica
"I Taufi", affiliata alla Coldiretti: 1300 i metri di altezza, 7 i km
che separano il podere dal borgo del Melo,
piccola frazione del Comune di Abetone-Cutigliano. Una famiglia che vive tutto l’anno
in mezzo alla natura: il sogno di tanti, ma che qui è anche un duro lavoro, ripagato
dai frutti che questo splendido territorio è capace di donare se lo si rispetta
e lo si ama.
Daniela, chi
lavora insieme a lei ai Taufi? E qual è l’origine di questo nome?
Insieme a me c’è Valter, mio marito da 26 anni e mia figlia,
la quale, dopo il diploma, ha deciso di lavorare in azienda. Ho altre due figlie
piccole, che frequentano la scuola d’infanzia e la scuola primaria e che fortunatamente
stanno vivendo in maniera piuttosto tranquilla la quarantena, avendo la
possibilità di stare all’aria aperta. Io e mia figlia ci occupiamo del caseificio
e della gestione degli animali, mentre mio marito gestisce le colture. Con noi
lavora anche mio cognato: operaio
specializzato, si dedica alle consegne dei nostri prodotti. Il nome
dell’azienda deriva dal monte che abbiamo alle
spalle: è la Cima Tauffi, che in molte zone del Nord Italia vuol dire
“terreno
roccioso, scosceso, ripido”. Non a caso sulla Cima Tauffi c’è un crinale
dal
nome suggestivo di “Passo della Morte”. Ci sono due poderi, i Taufi di
sotto e il nostro, che è un podere della Regione Toscana preso in
affitto. A giugno parte la transumanza: portiamo le mucche in alpeggio
fino a 1600
metri di altezza, facendole rientrare la notte in una stalla che è
vicino al
pascolo. D’inverno restiamo vicino al Melo ed accogliamo le persone nel
nostro caseificio, potendo contare anche su una bottega di paese in cui
sono presenti i nostri formaggi e i nostri yogurt.
Quali sono i vostri prodotti di punta?
Grazie alle nostre mucche, 25 capi di razza bruna, riusciamo
a trasformare tutto il latte che produciamo in prodotti di nicchia: burro e ottimi
formaggi, dal ravaggiolo allo stracchino, dalla ricotta al pecorino, tutti a
latte crudo.
Per nostra scelta non facciamo distribuzione presso i
supermercati, ma solo presso botteghe storiche presenti a Viareggio, Lucca e
Firenze, dove siamo anche fornitori di Eataly. Inoltre, nel 2019 siamo stati riconosciuti come “agricoltori custodi”
della Patata del Melo,
uno dei “sigilli” pistoiesi di Campagna Amica di Coldiretti,
insieme al pecorino a latte crudo e alla cinta senese.
E’ una patata a pasta bianca, ricca di amido e di fosforo,
molto gustosa e apprezzata: é uno dei 300 sigilli italiani, ai quali corrispondono
sia prodotti agricoli che razze animali. Tutti sono stati raccolti in un apposito volume, risultato di un censimento che ha
toccato tutte le regioni italiane. Non è possibile acquisire un marchio specifico di questo
prodotto, perché si è perso traccia delle origini del seme. L’importante è che
l’abbiamo salvata dall’estinzione e che il terreno riesce a darci un buonissimo
prodotto. Fa piacere che anche giovani ragazzi del posto abbiano cominciato a coltivare
questo prodotto in in piccoli appezzamenti.
Come è cambiato il vostro lavoro dall’inizio
dell’emergenza sanitaria?
Il nostro operaio,
consegnando i prodotti fino alle botteghe di città e dovendo attraversare più
province e più comuni, in principio ha avuto qualche problema con i controlli,
pur avendo ricevuto dalla Coldiretti le autocertificazioni e le autorizzazioni
necessarie. Tutto si è poi sistemato. Abbiamo imparato a gestire la sicurezza del nostro
trasportatore, munendoci del necessario per rendere sereno il suo e il nostro
lavoro. I locali vengono sterilizzati come sempre e ogni volta che mio cognato
rientra si cambia i vestiti e le scarpe. Un discorso a parte lo meritano i guanti, che
secondo me
vanno usati con giudizio, senza che diventino un veicolo di trasmissione
del virus.
Può essere un buon metodo disinfettarsi le mani all’entrata e all’uscita
degli
esercizi commerciali. A livello sanitario siamo coperti come prima, in
quanto il
laboratorio di analisi continua ad assisterci in merito ai nostri piani
di
controllo. Una direttiva nazionale di Coldiretti aveva indicato di
diminuire
il livello della produzione, ma noi ci siamo adattati con altre
soluzioni. I
nostri capi di bestiame non sono tutti in produzione, cerchiamo di farli
andare in rotazione per avere sempre il latte a disposizione. Noi, bene o
male, cerchiamo di continuare a produrre. Naturalmente,
evitiamo gli sprechi: se la vendita della ricotta non procede bene,
allora cerchiamo
di produrre pecorino, che poi mettiamo a
stagionare, per fargli acquisire anche un valore.
La produzione può
essere ridotta da parte di chi conferisce
il latte alle centrali; chi come noi ha il proprio laboratorio e riesce
a caseificare, questi problemi per fortuna non ce li ha. Anche noi fino
al 2006
portavamo il latte alla centrale di Pistoia: poi, da quando ci hanno
detto che
la centrale non poteva più attingere al latte di zona, abbiamo cambiato
radicalmente tipo di produzione. Abbiamo deciso di tenere viva la nostra
tradizione! Tuttavia, per estendere il discorso alla situazione
nazionale, penso che la produzione serva: è il momento buono per spingere e
mandare avanti ciò che di buono abbiamo in Italia a livello agroalimentare.
Siamo un paese che potrebbe reggere benissimo da solo. Sugli scaffali spesso c’è
latte non italiano, che viaggiando per chilometri per arrivare da noi, provoca
anche danni ambientali e inquinamento. A noi agricoltori in passato è stata attribuita la colpa di produrre
emissioni di CO2 attraverso le mucche che alleviamo. Oggi si è visto che non è
così, che il vero inquinamento è causato da altri fattori. Bisognerà ripartire,
ma dovremo ammettere che l’inquinamento è una cosa molto seria e che in futuro sarà
necessario lavorare per ridurlo notevolmente.
Cosa ne pensa della consegna a domicilio dei
prodotti alimentari?
Anche se la vendita diretta in azienda per il
momento è
sospesa, abbiamo deciso di non ricorrere alla vendita a domicilio, per
non mettere
a rischio la persona che lavora per noi. Apprezziamo comunque chi ha
dimostrato dinamicità per metterla in atto, venendo incontro a una
domanda sicuramente crescente delle persone che restano a casa. Ci
abbiamo rinunciato a malincuore, perché
le nostre vendite sono già limitate alle piccole botteghe storiche.
Alcune di
queste hanno deciso di chiudere temporanamente ed altre hanno deciso di
chiudere
per sempre, perché sono state travolte dall’incertezza per il domani
oppure erano
in crisi già da prima dell’emergenza. Sono rimaste quelle che hanno le
spalle
coperte. Ho la sensazione che il commercio delle piccole botteghe non
sia
apprezzato. Anche questa emergenza lo sta dimostrando: sono poche le
persone
che fanno la spesa nei piccoli negozi, che il più delle volte sono sotto
casa e
molte quelle che preferiscono spostarsi con l’auto e fare la coda fuori
dai
supermercati, anche fuori dal proprio comune di residenza.
Il 2020 era iniziato come l’Anno del Treno Turistico:
anche voi siete stati coinvolti da Coldiretti nel progetto Porrettana Express,
che il 31 gennaio aveva tenuto a battesimo il magnifico “Caimano” nel viaggio da
Pistoia a Piteccio

Nel punto d’incontro che deve essere allestito ad ogni
viaggio con i prodotti tipici della montagna, devono essere presenti, a rotazione,
tutti i produttori. In questo modo possono farsi conoscere e far conoscere le
peculiarità di ogni prodotto. Visto l’apprezzamento generale delle persone (nel 2019 oltre
2mila persone hanno partecipato ai dieci viaggi a bordo del Porrettana Express.ndr),
bisognerà promuoverlo sempre di più e organizzare quante più iniziative
possibili quando si potrà ripartire. Far riscoprire attraverso un treno d’epoca queste piccole
realtà produttive, per noi è una soddisfazione enorme: è importante far
conoscere quello che realmente è il nostro sudore. In questo momento, in
particolare, è faticoso portare avanti il nostro lavoro. Per ora dobbiamo
ancora comprare il mangime, il fieno che abbiamo è povero e le mucche hanno bisogno
di un’integrazione. Per il resto dell’anno,
invece, riusciamo ad usare solo il nostro fieno. Il mangime deve essere
ordinato con largo anticipo, perché con l’emergenza i tempi di consegna si sono
allungati. Siamo comunque tranquilli, perché con queste piccole accortezze
siamo sicuri che alle nostre mucche non facciamo mai mancare niente.
Cosa si aspetta dai prossimi provvedimenti in
tema di agricoltura?
In occasione di una crisi certamente diversa
da quella attuale, come quella del 2003, durante il quale la
forte siccità causò diversi decessi tra i capi di bestiame, soprattutto
nella piana, le misure non furono sufficienti: ci vennero sì tolti i
contributi, ma in seguito ci
sono stati richiesti con gli interessi. Per le imposte del 2020 ci sarà
una proroga, ma dall’inizio
dell’estate temo che si ripartirà. Personalmente preferisco pagare ora
la rata
dei contributi, per evitare di ritrovarmi con degli arretrati. Dobbiamo
contare
sul fatto che riusciamo a pagare l’operaio che fa le consegne e ad avere
un
minimo di introito, da utilizzare anche per le imposte. Di sicuro non
possiamo
mettere soldi da parte, perché il calo delle entrate non ce lo permette.
Altro
capitolo saranno le banche: spero che anche su questo fronte, per i
pagamenti
che devo gestire, possano venirmi incontro. Prima di far ripartire
l’economia, c’è da cambiare l’atteggiamento
generale delle istituzioni e della pubblica amministrazione. C’è una
burocrazia che
non aiuta e sono anni che lo facciamo presente.
Cosa vede nel futuro dell’agricoltura e nel
futuro di queste montagne?
Dobbiamo pensare che ci sarà un domani e anche che le
aziende non si possono chiudere in un giorno. Bisogna cercare di darsi forza e
coraggio: non è un evento che abbiamo voluto, ci è capitato e bisogna usare l’intelligenza
per uscirne il prima possibile.
Inoltre, bisognerebbe dare più valore ai
nostri prodotti
agricoli. Dobbiamo cercare di risollevare il Paese andando a puntare
sulla
nostra economia, investendo sulle nostre bellezze culturali e
artistiche. Riscopriamo
l’Italia e facciamo girare i nostri numeri. Risolleviamo tutte le
strutture
ricettive e le attività commerciali che con il calo della domanda
vedranno compromessa la stagione estiva. Anche le piccole botteghe che
vendono prodotti agricoli possono imparare da questa crisi e, con un po'
di
astuzia, aggiustare il tiro.
Anche qui da noi al Melo, ci deve essere più attenzione all’interesse
generale: nella mia esperienza con l’affitto dei due appartamenti che fanno
parte dell’azienda, ho notato che tra compaesani ci si giudica con sospetto e
questo atteggiamento può pregiudicare anche l’accoglienza che viene riservata a
chi viene da fuori.
E’ giusto che ogni piccola azienda del posto faccia il
proprio interesse: tuttavia mi è capitato, soprattutto d’inverno, quando
abitiamo vicino al paese, di indirizzare le persone che erano arrivate al caseificio verso la bottega che vende i nostri prodotti al Melo. Per creare
più scambio, per dare un senso di comunità. Ci vorrebbe maggiore unità tra di
noi, basterebbe capire che i problemi sono gli stessi per tutti e che bisogna
vendere lo stesso prodotto, che è il nostro territorio.
Articolo originariamente pubblicato sulla testata PistoiaSette
P.s. La storia di Daniela Pagliai e dell'azienda I Taufi è stata anche raccontata in questo video di Coldiretti Toscana, relativo a un servizio di Studio Aperto.
Commenti
Posta un commento