lunedì 12 gennaio 2015

Se "Je suis Charlie" vuol dire anche "Io resto umana" allora io sono Charlie!

11 gennaio 2015: Parigi risponde al terrore
Anche a Rio de Janeiro são todos Charlie

Studenti pistoiesi per la libertà d'espressione
Con il sindaco di Pistoia Samuele Bertinelli
Non avevo mai letto Charlie Hebdo perché non trovavo intelligenti molte delle loro vignette e non mi sono identificata come Je suis Charlie dopo i tragici fatti di Parigi. Capisco però, che al pari di tutti gli hashtag e gli slogans, si tratta di un modo per semplificare e per veicolare un messaggio, che doveva essere quello del ripudio verso la violenza e il terrore. Quindi anche io sono Charlie nel senso che rinnego ogni forma di prevaricazione e di mancanza di rispetto nei confronti della VITA. Purtroppo con questo hashtag si rischia di cadere nella retorica e di dimenticare che dietro agli attentati ci sono rapporti di forza tra i paesi, interessi contrapposti e non solo guerre di religione. Meno che mai scontri tra civiltà come vogliono farci credere. Cerchiamo di evitare questo tipo di contrapposizioni tra i popoli e tra le persone. I nostri cugini francesi nel 1789 hanno fatto una bella e grande rivoluzione per questo. 
La bellezza di Piazza della Repubblica nella giornata dell'11 gennaio 2015 ci parla di questo: di uguaglianza, libertà e fratellanza. 
Cerchiamo di raccogliere ogni giorno quell'eredità storica, il portato più nobile di quei valori. 
Non c'è giustizia nel mondo (e di conseguenza non c'è
Matite e candele sotto Fonte Gaia, a Siena
pace) e questo può creare in alcune persone deboli per storia familiare, condizioni economiche e scarsa educazione morale ricevuta, il miraggio di avere un ruolo nella società attraverso il reclutamento in un gruppo terroristico. 

Un pò lo stesso fenomeno che avviene con la mafia o con la camorra. E' con l'educazione e il rispetto verso la vita di ogni essere umano che si combatte il terrorismo. Certo, se la ricchezza nel mondo fosse distribuita più equamente e non ci fosse più il commercio delle armi che spesso è il combustibile delle guerre... le cose sarebbero molto più semplici.
Ma intanto, cercando di allontanare da me questa sensazione di impotenza, faccio mie le parole di Vittorio Arrigoni: "Restiamo umani". Con nel cuore le vittime di tutte le guerre e di tutte le ingiustizie, perché non esistono morti di serie A e morti di serie B.


5 commenti:

  1. Concordo con l'autore, nel senso che questo accanirsi da anni, a partire dalle torri gemelle, sul solo discorso religioso, fa venire i brividi a chiunque ragioni un pò sulle cose! Chi usa la violenza non ha certo come principale scopo il fare apprezzare un tomo piuttosto che un altro.
    Inoltre essere Charly effettivamente ha senso, specie per chi non è francese e soprattutto non sapeva fino a ieri chi fossero questi disegnatori...solo per un comprensibile dispiacere per un dramma umano, ma non venissero a dire che son tutti esperti di satira francese se non conoscono manco quella italiana!

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  2. Parole sante Giulia, il concetto lo hai afferrato qui:
    Non c'è giustizia nel mondo (e di conseguenza non c'è
    pace) e questo può creare in alcune persone deboli per storia familiare, condizioni economiche e scarsa educazione morale ricevuta, il miraggio di avere un ruolo nella società attraverso il reclutamento in un gruppo terroristico.

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  3. Ringrazio Pierfrancesco e Simone per i loro commenti. A presto

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  4. Nous sommes tous européennes
    di Alessandro Agostinelli

    “Je suis Charlie” vuol dire che siamo tutti europei (Nous sommes tous europeennes). Sono europee le vittime dei tre giorni di guerra urbana messa in atto dalle cellule terroristiche islamiste in Francia, e sono soprattutto europei due musulmani parigini, cioè il poliziotto Ahmed ucciso vigliaccamente sul marciapiedi e il correttore di bozze della rivista Charlie Hebdo, orfano algerino, che è caduto sotto il piombo di due fratelli sciagurati e assassini.
    Ciò che conta è rispondere con le armi della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità agli attacchi terroristici, ma comprendere bene che la posta in gioco è ben più complessa. E non riguarda solo la nostra libertà ma anche la nostra sicurezza e il confronto con le nostre paure che spesso nascono dalle nostre debolezze, di una civiltà occidentale che al tempo stesso è aggressiva, gaudente e in declino.

    E attenzione! Anche chi non reputa necessario difendere gli “stupidi e cattivi satiri” di Charlie Hebdo non pensi di essere assolto da ciò che implicano i fatti di Parigi. Come diceva De André: “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.
    Per questo servirebbe davvero che in questo complesso quadro geopolitico e di interessi economici ancora oggi nascosti dietro guerre di religione o battaglie di principio dove il principio è la scusa per conservare un bel portafoglio a organetto, si arrivasse a capire che gli Stati Uniti dovrebbero rivedere meglio le loro alleanze o le loro relazioni commerciali nella penisola arabica, così come l’intera Europa dovrebbe rivedere certe posizioni contro la Siria e contro la Russia, e magari chiedere davvero alla Turchia (è uno dei Paesi NATO, o mi sbaglio?) che gioco vuole giocare al confine con la Siria, nei confronti dei curdi e in relazione al califfato dell’ISIS. Sì, lo sappiamo, tanti errori nei confronti della Turchia sono stati commessi proprio nell’Unione Europea che forse, sbagliando, ha rimandato il suo ingresso nell’Unione, lasciando Erdogan a se stesso, ma la Turchia non può proseguire a tenere il piede su due staffe.

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  5. Tuttavia, adesso servirebbe rivedere le stratificazioni storiche nell’area del Medio Oriente e cercare non solo di mettere ordine, ma riposizionare le alleanze e le priorità.
    Così come sarebbe utile che le autorità islamiche più importanti non manifestassero soltanto solidarietà per le vittime francesi, ma cominciassero un processo di riforma della loro religione, per quanto possibile. Sarebbe utile per tutti (soprattutto per le donne musulmane) che l’Islam cominciasse un periodo di secolarizzazione, per uscire dalla rigidità teocratica. Durante il genocidio degli amerindi, da parte dei cattolicissimi spagnoli (uno degli sterminii più enormi della storia dell’umanità, più grande di quello nazista) gli aztechi per capire l’altro si mettevano letteralmente nella sua pelle, cioè lo scuoiavano vivo e poi si mettevano addosso la sua pelle. Oggi per noi dire “mettersi nella pelle dell’altro” è una figura retorica, significa capirne le ragioni, non certo scuoiarlo vivo. Ecco, questo dovrebbe fare l’Islam, passare dalla materialità al simbolo, alla metafora.

    E poi l’Europa. Adesso, proprio adesso, è il momento di costruire l’Europa politica, dopo quella monetaria. Solo con un’unione più forte dei Paesi europei, con la messa in campo collettiva e unitaria di informazioni, intelligence, politiche, polizie, culture, possiamo essere forti. Se siamo Charlie è perché siamo profondamente lo stesso continente fatto di stati uguali e diversi tra loro che hanno tremendamente bisogno di una politica unitaria.
    E se ci scandalizziamo per gli attentati di Parigi dobbiamo anche cominciare a indignarci a voce alta per altre peggiori azioni, come quelle di Boko Haram in Nigeria. Dovremmo intervenire per salvare villaggi di tranquilli nigeriani che sono stati massacrati a centinaia, per impedire che due bambine di 10 anni siano imbottite di tritolo e spedite a saltare in aria, facendo esplodere un intero mercato per fare decine di vittime civili oltre a loro così piccole e innocenti. Intervenire in Nigeria da parte della comunità internazionale sarebbe un bel segnale anche all’Islam moderato, perché lì non ci sono interessi economici dei paesi ricchi e sarebbe una vera azione di solidarietà internazionale per i cittadini nigeriani e africani che hanno chiesto il nostro aiuto.
    Anche così si ristabilisce una dignità dell’Occidente, se ancora queste due parole insieme vorranno significare qualcosa.

    [14 gennaio 2015]

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